La prigione celeste di Carlo Livia

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Una nuova ontologia estetica deve essere formulata dai poeti, sono loro che hanno ilcompito di pronunciare il nuovo discorso poetico che dovrà far coabitare l’ontologiacon la temporalità. I filosofi ci seguiranno. Sta a loro fare la nuova poesia che siaabnorme ed ultronea, ed erranea. In questo arduo e problematico progetto, un postodi rilievo ce l’ha senz’altro Carlo Livia con la sua ricerca singolarmente in contro tendenza rispetto alle «poetiche da risultato» che sono venute dopo il 1971, l’anno famigerato di Satura di Montale che ha segnato la caduta tendenziale della poesia italiana nella opacità del narratum. 

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Una nuova ontologia estetica deve essere formulata dai poeti, sono loro che hanno ilcompito di pronunciare il nuovo discorso poetico che dovrà far coabitare l’ontologiacon la temporalità. I filosofi ci seguiranno. Sta a loro fare la nuova poesia che siaabnorme ed ultronea, ed erranea. In questo arduo e problematico progetto, un postodi rilievo ce l’ha senz’altro Carlo Livia con la sua ricerca singolarmente in contro tendenza rispetto alle «poetiche da risultato» che sono venute dopo il 1971, l’anno famigerato di Satura di Montale che ha segnato la caduta tendenziale della poesia italiana nella opacità del narratum. Conosco Livia da venticinque anni, quando contribuìcon il suo lavoro all’appena nata “Poiesis”, quadrimestrale di letteratura da me fon-dato nel lontano 1993. È da allora che ho contezza del suo impegno poetico. Ho sempre stimato quella certosina ricerca di un nuovo linguaggio poetico, munita di ottimeletture filosofiche, in primis, Heidegger e Nietzsche. Il suo obiettivo era quello di spostare il baricentro della poesia italiana del secondo Novecento, sottrarre alla lineaneorealista e minimalista lombarda e romana la primogenitura e introdurre nella forma-poesia italiana un quantum tratto dal surrealismo europeo, in particolare daquello francese. Il tentativo di Carlo Livia è encomiabile perché condotto con assoluta onestà intellettuale e perizia stilistica come pochi nel panorama italiano. Il questo libro Livia pone al centro del fare poetico la rappresentazione dell’irrealtà, compitodavvero problematico che il poeta romano affronta senza opacità né reticenze con unlinguaggio di assoluta singolarità. (Giorgio Linguaglossa)

 

L'autore
Carlo Livia è nato a Pachino (SR) nel 1953 e risiede a Roma. Insegnante di lettere lavo-ra in un liceo classico. È autore di opere di poesia, prosa, saggi critici e sceneggiature,apparsi su antologie, quotidiani e riviste. Fra i volumi di poesia pubblicati ricordiamo:Il giardino di Eden (1975); Alba di nessuno (1983, finalista al premio Viareggio); Dejavu (1993, premio Montale); La cerimonia (1995); Torre del silenzio (1997); L’addioincessante (2001); Gli Dei infelici (2010). Collabora con la rivista on line lombradelle-parole.wordpress.com.

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Una nuova ontologia estetica deve essere formulata dai poeti, sono loro che hanno ilcompito di pronunciare il nuovo discorso poetico che dovrà far coabitare l’ontologiacon la temporalità. I filosofi ci seguiranno. Sta a loro fare la nuova poesia che siaabnorme ed ultronea, ed erranea. In questo arduo e problematico progetto, un postodi rilievo ce l’ha senz’altro Carlo Livia con la sua ricerca singolarmente in contro tendenza rispetto alle «poetiche da risultato» che sono venute dopo il 1971, l’anno famigerato di Satura di Montale che ha segnato la caduta tendenziale della poesia italiana nella opacità del narratum. 

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