Portare la Guerra in scena, in questo caso la Grande Guerra col suo corteo di milioni di morti, di invalidi, di pazzi, colla diffusione esponenziale in tante case di foto, di defunti, figli, sposi, fratelli, padri a lanciare ingessati in dagherrotipi e divenuti Lari e Penati impotenti, è un’impresa proibitiva.
Si rischia la sconfitta, la ritirata, lo scacco. E del resto in quegli anni traci proprio la fotografia assurge a vera industria mondiale dell’immagine riprodotta, lanciata a ridosso del cimitero e dei laboratori di anatomia patologica di impronta lombrosiana a riprendere i condannati a morte prima dell’esecuzione.