POETRY KITCHEN - Antologia di poesia contemporanea

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La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina, ha lasciato i salotti degli intellettuali e gli androni con le colonne neoclassiche delle abitazioni borghesi e si è introdotta in cucina. Il mondo è diventato un gigantesco ready made. Il fare kitchen è in rapporto convenevole con gli ingredienti che troviamo  nella dispensa
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La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina, ha lasciato i salotti degli intellettuali e gli androni con le colonne neoclassiche delle abitazioni borghesi e si è introdotta in cucina. Il mondo è diventato un gigantesco ready made. Il fare kitchen è in rapporto convenevole con gli ingredienti che troviamo  nella dispensa: qualsiasi «real object» può essere «ready made» e può diventare arte. Ciò che Lyotard chiamava il «sublime tecnologico» potremmo tradurlo con il nostro linguaggio come poiesis kitchen. La fine della metafisica ci pone davanti a questo nuovo orizzonte nel quale viene a cadere il confine che per duemilaecinquecento anni ha costruito la poiesis sulla nozione aristotelica di mimesis. L’Arte, nell’accezione hegeliana, scende dal suo piedistallo per entrare nella catena di montaggio della comunicazione e replicazione mediatica e nell’industria della obsolescenza culturale programmata. La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la coinplicazione, l’interferenza, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio, il suo esser sempre stato, il suo essere sempre presente; una ontologia della coimplicazione occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva essere e linguaggio. Il sublime si è desublimato, e questo lo ha certificato il trionfo della tecnica. Se la poetry kitchen adotta il linguaggio desublimato del mondo della tecnica, il soggetto è subordinato alle leggi del linguaggio: mentre egli parla, il linguaggio non sa che direzione potrà prendere la mia/tua/sua/nostra/vostra/loro parola. La parola va sempre in una direzione che il codice del linguaggio non può prevedere; il linguaggio poietico biodegradabile corrisponde a una esistenza ridotta alla modalità biologica, segno del momento critico in cui la metafisica e, con essa, la sua politica e il suo linguaggio giungono ad una soglia in cui l’uso che si fa del linguaggio è ad obsolescenza programmata. La poetry kitchen va alla ricerca del nulla con lo scolapasta e l’acchiappafarfalle. La parola è il cavallo di Troia: una volta che fa ingresso nella città delle parole, si perde nelle strade più svariate; il significante è il suo cavaliere che crede ingenuamente di guidare il cavallo secondo i suoi desideri, ma si inganna, viene ingannato dal cavallo che ormai ha preso possesso della città delle parole. La prassi del trobar clus viene esautorata e sostituita con un trobar poroso e aperto agli esiti psico linguistici, trobar che si costituisce nell’intreccio, nel compostaggio di ready language, nei mix di precarie fibrillazioni linguistiche.

Testi di Alfonso Cataldi, Raffaele Ciccarone, Marie Laure Colasson, Guido Galdini, Giuseppe Gallo, Francesco Paolo Intini, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa, Vincenzo Petronelli, Mauro Pierno, Mimmo Pugliese, Gino Rago, Jacopo Ricciardi, Ewa Tagher, Giuseppe Talìa, Lucio Mayoor Tosi.

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La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina, ha lasciato i salotti degli intellettuali e gli androni con le colonne neoclassiche delle abitazioni borghesi e si è introdotta in cucina. Il mondo è diventato un gigantesco ready made. Il fare kitchen è in rapporto convenevole con gli ingredienti che troviamo  nella dispensa

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