L’Elefante sta bene in salotto - Giorgio Linguaglossa

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E così la forma-poesia diventa un campo attraversato da linee di forza divergenti, contraddittorie. Il Covid19 e la guerra in Ucraina hanno reso evidente che non soltanto il soggetto è diventato «scabroso» per via delle sue illusioni videologiche, ma anche che il mondo si è rivelato per quello che è: «scabroso», «osceno», «inabitabile», «vergognoso».
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L’Elefante sta bene in salotto. Intanto, con la sua proboscide fracassa il vasellame, le suppellettili e tutti i ninnoli; ci dice che siamo già oltre i confini del Moderno, che siamo in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage come repertorio permanente di stili defunti che possono essere ripescati riciclati e disusati; ci dice che non c’è alcun elefante, che tutto è a posto, che i nostri dubbi sono in realtà miraggi, prodotto di scetticismo e di cinismo, che abitiamo il migliore dei mondi possibili e ci invita a costruire con uno stile patico le nostre abitazioni di cartapesta ed i lungometraggi con i quali allietiamo le nostre solitudini sociali. Il Signor Capitale ci ammannisce la sordità e la cecità ad obsolescenza programmata, ci dice che l’ultroneo va bene per situazioni ultronee e va bannato, che il reale è razionale e che non esiste nulla di meglio della condizione in cui ci troviamo. Nella realtà viviamo come se fossimo a bordo di un sommergibile: amiamo e odiamo senza le isoglosse del desiderio e della passione, preda di invidie distopiche; in realtà siamo tutti diventati apatici e atopici. 
La poesia kitchen è un «luogo di enunciazione», un «campo linguistico» al di qua del soggetto dell’enunciazione, un «campo costellato di proprietà, di possibilità». Qualsiasi «real object» può essere «ready made» e può diventare arte. La fine della metafisica ci pone davanti a un nuovo orizzonte nel quale viene a cadere il confine che per duemilacinquecento anni ha costruito la poiesis sulla nozione aristotelica di mimesis. La poetry kitchen adotta il linguaggio desublimato del mondo della tecnica. Ciò che Lyotard chiamava il «sublime tecnologico» potremmo tradurlo, con il nostro linguaggio, come poiesis kitchen, dove l’ultroneo distopico entra a far parte del testo. Il soggetto si scopre subordinato alle leggi del linguaggio: mentre egli parla, il linguaggio non sa che direzione potrà prendere la mia/tua/sua/nostra/vostra/loro parola. La parola va sempre in una direzione che il codice del linguaggio non può prevedere. E così la forma-poesia diventa un campo attraversato da linee di forza divergenti, contraddittorie. Il Covid19 e la guerra in Ucraina hanno reso evidente che non soltanto il soggetto è diventato «scabroso» per via delle sue illusioni videologiche, ma anche che il mondo si è rivelato per quello che è: «scabroso», «osceno», «inabitabile», «vergognoso».

L'autore
Giorgio Linguaglossa è nato nel 1949 e vive a Roma. Ha diretto la rivista di letteratura “Poiesis” dal 1993 al 2005. Ha pubblicato: in poesia Uccelli (1992), Paradiso (2000), La Belligeranza del Tramonto (2006), Blumenbilder (natura morta con fiori) (2013) e Il tedio di Dio (2018); i romanzi 24 tamponamenti prima di andare in ufficio (2004), Ponzio Pilato (2011) e 248 giorni (2016). Per la saggistica ricordiamo: Contro il minimalismo (2011), Dopo il Moderno (2013), Dalla lirica al discorso poetico (2015), Critica della Ragione sufficiente (2018).

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E così la forma-poesia diventa un campo attraversato da linee di forza divergenti, contraddittorie. Il Covid19 e la guerra in Ucraina hanno reso evidente che non soltanto il soggetto è diventato «scabroso» per via delle sue illusioni videologiche, ma anche che il mondo si è rivelato per quello che è: «scabroso», «osceno», «inabitabile», «vergognoso».

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