Altre foto per album - Giorgia Stecher

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Rispetto ai linguaggi poetici dell’orfismo e del post-sperimentalismo degli anni ottanta e novanta del novecento la poesia della memoria di Giorgia Stecher (1929-1996) si presenta ai suoi contemporanei così nuova e così antica che passa quasi inosservata, l’ammirazione resta confinata nella cerchia degli amici più stretti
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Rispetto ai linguaggi poetici dell’orfismo e del post-sperimentalismo degli anni ottanta e novanta del novecento la poesia della memoria di Giorgia Stecher (1929-1996) si presenta ai suoi contemporanei così nuova e così antica che passa quasi inosservata, l’ammirazione resta confinata nella cerchia degli amici più stretti, ma oggi la poesia della Stecher può essere apprezzata come una delle espressioni più rappresentative della poesia italiana del tardo novecento. La poesia stecheriana è uno scavo archeologico nel passato e nella memoria a far luogo da alcune fotografie di famiglia. La poetessa siciliana ci rivela che il tempo della fotografia è il tempo organizzato dagli uomini, il tempo dotato di significato, ma la Stecher va oltre, scopre che quei significati organizzati sono un nulla, nulla di nulla e che non è rimasto alcunché di quei significati. 
È questa la chiave della post-elegia stecheriana, che nasce dalla traumatica scoperta che di quel mondo di significati non resta che la polvere dell’oblio della memoria. È il primo avvistamento nella poesia italiana del tardo novecento della problematica dell’addio della memoria. Il tempo o, meglio, le temporalità dei personaggi delle poesie della Stecher sono i veri protagonisti. Non è il tempo anteriore né quello interiore ciò che viene scoprendo la poetessa - quel tempo interiore esplorato per la prima volta da Agostino, che poi Bergson doveva mettere in relazione con la durata e Proust avrebbe recuperato attraverso la memoria - ma il tempo esteriore, il tempo che è stato cancellato. Tempo interiore, durata e memoria sono svaniti, la nuova civiltà delle macchine e la incipiente rivoluzione telematica e cibernetica ormai non sa più che farsene di quelle questioni un po’ obsolete che sanno di insipido e di idillio e le ha sostituite con qualcosa di traumatico, con la tecnica e il nulla. È il primo avvistamento nella poesia italiana di quella problematica che diverrà predominante un trentennio più tardi. 
Il tempo nella poesia della Stecher si dà in una sola dimensione: il passato definito e il passato remoto. È un tempo senza attesa, che non conosce il moto progressivo. Un tempo statico, che si è solidificato. Questo tempo perfetto in quanto passato è in realtà il più imperfetto, perché per eccellenza è un tempo incompiuto, una figura dell’eternità. L’eternità del passato è, in un certo senso, la morte del tempo, che ha la sua premessa e la sua promessa nelle fotografie ritrovate nei bauli e nei cassetti abbandonati di famiglia. La fotografia raffigura l’eternità del tempo, il tempo di quando non eravamo ancora nati, il tempo della nostra assenza; la fotografia lo fissa nell’attimo in cui era qualcosa di solido e di vivo che la poesia ha il compito di redimere e riscattare dall’oblio.

Giorgia Stecher nasce a Messina il 14 luglio 1929 e muore a Trento il 24 aprile 1996; le sue prime poesie  escono agli inizi degli anni ottanta del novecento sulla  rivista siciliana “Issimo” (Ed. Il Vertice, Palermo) di cui  era componente della redazione e sulla terza pagina della “Gazzetta del Sud”; pubblica in varie plaquette, tra cui ricordiamo Quale Nobel Bettina (1986); si guadagna la stima e l’ammirazione dei poeti siciliani che ruotano attorno all’editore “Il Vertice” che poi editerà il libro Album (Il Vertice, Palermo, 1991), seguito da Altre foto per Album (Scettro del Re, Roma, 1996). In quegli anni entra in contatto con la rivista “Poiesis” di Roma che conta personalità di spicco: Giorgio Linguaglossa, Giulia Perroni, Maria Rosaria Madonna, Giuseppe Pedota, Laura Canciani.

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